Lavoratore che non svolge i propri compiti e insulta il superiore

Chi risponde male al proprio datore di lavoro e si rifiuta di svolgere i compiti assegnatigli, oggi può essere licenziato per giusta causa: questa la decisione presa dalla Corte di Cassazione con la sentenza numero 22611 del 06/11/2015, che rigetta in pieno la domanda di reintegro in azienda di un operaio poco ligio al dovere schierandosi a favore del titolare.
 
Nel caso di specie, il superiore dice al dipendente di eseguire una certa prestazione e quest’ultimo, oltre a respingere la richiesta, inizia anche una discussione ad alta voce facendosi sentire da tutti i colleghi presenti nei paraggi e concludendo la conversazione in atto con un sonoro insulto rivolto proprio all’incredulo e malcapitato dirigente.
 
Secondo i giudici di primo grado come anche per i magistrati di legittimità, la grave insubordinazione commessa ed il plateale inadempimento dell’operaio, rappresenterebbero due elementi capaci di mettere in discussione il legame di fiducia precedentemente instaurato con il datore di lavoro, arrivando addirittura a motivare un’ipotesi di licenziamento per giusta causa.
 
In aggiunta a ciò, va anche poi detto che, il semplice fatto di offendere il superiore facendosi volontariamente sentire dai colleghi ha aggravato la posizione del dipendente in modo ulteriore, perché nelle sue azioni si è percepita la chiara intenzione di mettere in difficoltà l’interlocutore imbarazzandolo davanti ai suoi collaboratori.
 
Appellandosi a queste stesse motivazioni, i giudici hanno quindi dato ragione al titolare schierandosi nettamente contro un operaio, le cui lamentele e scusanti sono risultate tanto vane quanto inutili, poiché, la scarsa attitudine ad attuare gli ordini dimostrata dal dipendente è stata considerata come uno dei fattori cardine atti a compromettere l’intero andamento dell’impresa.

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