Il Datore di Lavoro Può Controllare la Posta Elettronica del Dipendente
Il focus in esame pone l’attenzione sulla liceità o meno del fatto che il datore di lavoro di possa controllare la posta elettronica del dipendente.
Il controllo delle e-mail e degli accessi a Internet da parte del datore di lavoro sono in linea di principio vietati nei casi in cui il controllo venga fatto per verificare la corretta esecuzione della prestazione lavorativa del dipendente.
La Suprema Corte di Cassazione però precisa che non è vietato al datore di lavoro controllare la posta elettronica dei dipendenti quando, in seconda battuta, ex post, il controllo viene fatto dal datore di lavoro “come controllo difensivo” a seguito di emersione di fatti messi in essere dal dipendente tali da “tali da raccomandare l’avvio di una indagine retrospettiva”. Il controllo ex post quindi viene fatto dal datore di lavoro per verificare se esistono delle violazioni gravi a carico del dipendente che ne giustifichino il suo licenziamento per giusta causa.
Una situazione esemplificativa di tale caso di controllo lecito delle e-mail del dipendente fatto dal datore di lavoro si trova nella sentenza della Corte Suprema di Cassazione n.2722 - Sezione Lavoro - del 13 dicembre 2011.
La sentenza tratta il caso di un dipendente di un istituto bancario con funzioni di quadro direttivo, addetto all'ufficio Advisory center, che era stato licenziato per giusta causa perché aveva divulgato notizie riservate tramite l'invio di email a soggetti esterni all'azienda. Le notizie riservate diffuse tramite posta elettronica riguardavano un cliente dell'Istituto di Credito presso cui il dipendente quadro lavorava e proprio grazie a queste notizie, aveva messo in essere “operazioni finanziarie da cui aveva tratto un vantaggio personale”.
La sentenza 2722 della Corte Suprema di Cassazione chiude un percorso che temporalmente segue queste tappe:
Nel caso in esame infatti il datore di lavoro aveva avviato un’indagine di controllo sulle strutture informatiche aziendali che non era direttamente connessa con il fatto di sorvegliare l’esecuzione della prestazione di lavoro da parte del dipendente, ma aveva lo scopo di accertare eventuali comportamenti illeciti del dipendente che potevano mettere in pericolo l’immagine dell’istituto bancario presso terzi.
In questo caso l’indagine ex post è legittima perché entra in gioco il diritto del datore di lavoro di tutelare il proprio patrimonio costituito non solo dai beni aziendali, ma anche dall’immagine esterna accreditata presso il pubblico. Il datore di lavoro quindi, in questo caso, poteva giuridicamente esercitare il controllo della posta elettronica del dipendente con gli strumenti derivanti dalla sua supremazia sulla struttura aziendale.
Il controllo delle e-mail e degli accessi a Internet da parte del datore di lavoro sono in linea di principio vietati nei casi in cui il controllo venga fatto per verificare la corretta esecuzione della prestazione lavorativa del dipendente.
La Suprema Corte di Cassazione però precisa che non è vietato al datore di lavoro controllare la posta elettronica dei dipendenti quando, in seconda battuta, ex post, il controllo viene fatto dal datore di lavoro “come controllo difensivo” a seguito di emersione di fatti messi in essere dal dipendente tali da “tali da raccomandare l’avvio di una indagine retrospettiva”. Il controllo ex post quindi viene fatto dal datore di lavoro per verificare se esistono delle violazioni gravi a carico del dipendente che ne giustifichino il suo licenziamento per giusta causa.
Una situazione esemplificativa di tale caso di controllo lecito delle e-mail del dipendente fatto dal datore di lavoro si trova nella sentenza della Corte Suprema di Cassazione n.2722 - Sezione Lavoro - del 13 dicembre 2011.
La sentenza tratta il caso di un dipendente di un istituto bancario con funzioni di quadro direttivo, addetto all'ufficio Advisory center, che era stato licenziato per giusta causa perché aveva divulgato notizie riservate tramite l'invio di email a soggetti esterni all'azienda. Le notizie riservate diffuse tramite posta elettronica riguardavano un cliente dell'Istituto di Credito presso cui il dipendente quadro lavorava e proprio grazie a queste notizie, aveva messo in essere “operazioni finanziarie da cui aveva tratto un vantaggio personale”.
La sentenza 2722 della Corte Suprema di Cassazione chiude un percorso che temporalmente segue queste tappe:
- Il dipendente funzionario quadro viene licenziato per giusta causa in data 15 marzo 2004
- La Corte di appello di Brescia rigetta e respinge l’impugnazione del licenziamento con sentenza del 13 ottobre 2009 perché, pur ritenendo tempestiva la contestazione, non la riteneva contrastante con l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori dato che il controllo delle e-mail del dipendente era stato fatto ex post per accertare una condotta attuata in violazione degli obblighi fondamentali di riservatezza e fedeltà e postasi in essere contro l’interesse del datore di lavoro. Il dipendente quadro inoltre aveva consapevolmente violato l’obbligo di segretezza e correttezza dei dipendenti (previsto nell’articolo 2104 del codice civile), il regolamento interno e il codice deontologico. Nell’insieme dei comportamenti accertati il dipendente aveva abusato della sua elevata posizione professionale ledendo in modo grave il rapporto fiduciario insito nel proprio ruolo lavorativo.
- In seguito alla sentenza della Corte d’Appello il dipendente ricorre per cassazione e al suo ricorso corrisponde anche un controricorso dell’Istituto bancario (cioè il suo datore di lavoro).
Nel caso in esame infatti il datore di lavoro aveva avviato un’indagine di controllo sulle strutture informatiche aziendali che non era direttamente connessa con il fatto di sorvegliare l’esecuzione della prestazione di lavoro da parte del dipendente, ma aveva lo scopo di accertare eventuali comportamenti illeciti del dipendente che potevano mettere in pericolo l’immagine dell’istituto bancario presso terzi.
In questo caso l’indagine ex post è legittima perché entra in gioco il diritto del datore di lavoro di tutelare il proprio patrimonio costituito non solo dai beni aziendali, ma anche dall’immagine esterna accreditata presso il pubblico. Il datore di lavoro quindi, in questo caso, poteva giuridicamente esercitare il controllo della posta elettronica del dipendente con gli strumenti derivanti dalla sua supremazia sulla struttura aziendale.
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